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Non è raro vedere un imprenditore guardare i suoi numeri e trarre le relative conclusioni considerando solo l’aspetto economico, anzi – peggio ancora – focalizzandosi esclusivamente sull’ultima riga del Conto Economico, vale a dire l’utile o la perdita dell’esercizio (o comunque del periodo oggetto di osservazione), e da lì prendere una determinata decisione o, più in generale, ridefinire la sua strategia.

Questo approccio è retaggio di una certa cultura popolare ancora piuttosto diffusa, cultura che ci portiamo dietro da decenni e in base alla quale quando un lavoratore ha uno stipendio di 1.000 (reddito: aspetto economico), sa che a fine mese gli verrà accreditato 1.000 (disponibilità liquide: aspetto finanziario).

Quindi spesso si è naturalmente e inconsciamente portati a ritenere che l’aspetto economico (profitto) e quello finanziario (incasso) coincidano!

Oggi, purtroppo, la complessità dei processi aziendali e dell’ambiente in cui l’impresa si trova a dover operare, fa sì che la dinamica economica spesso si discosti anche significativamente da quella finanziaria, pur rappresentando entrambe sempre le due facce della stessa medaglia.

Infatti, ogni operazione di acquisto e vendita ha due facce: una economica e una finanziaria, e per l’imprenditore il fatto di capire bene la differenza non è un inutile esercizio teorico!

Immaginiamo due società, A e B, che vendono forniture di cancelleria:

  • la società A vende una scatola di penne per 100 euro a una società di consulenza strategica, e incassa subito;
  • la società B vende la stessa scatola per 100 euro a un piccolo ente pubblico territoriale, e prima di incassare è verosimile ritenere che passeranno diversi mesi.

L’operazione di A presenta un aspetto economico, ricavo, pari a 100, e un aspetto finanziario, entrata di cassa immediata, pari a 100.

L’operazione di B presenta un aspetto economico, ricavo, anche qui pari a 100, e un aspetto finanziario, entrata di cassa, che stavolta però avverrà a una data futura, facendo sorgere un credito pari a 100.

Entrambe le società possono affermare di aver fatturato 100, ma mentre A può spendere subito quei 100 per acquistare nuova merce o nuovi servizi, B potrebbe essere a corto di liquidità e quindi costretta a rivolgersi a terzi finanziatori, con l’ulteriore conseguenza che vedrebbe peggiorare i suoi risultati economici futuri a causa degli interessi passivi che andrebbe a pagare sul finanziamento così ricevuto.

Pertanto, in merito alla differenza tra profitto e cash flow e ai legami che intercorrono tra queste due grandezze, si può concludere che:

  • L’esistenza del primo è condizione necessaria (ma non sufficiente) per l’esistenza del secondo: come facilmente intuibile, se non vi è profitto – cioè se l’impresa non riesce a conseguire ricavi superiori ai costi – allora ogni altra considerazione sulla creazione di cassa è perfettamente inutile!
  • L’esistenza del primo non garantisce l’esistenza del secondo (ecco perché si dice che è solo condizione necessaria e non anche sufficiente!): si possono conseguire ricavi anche di molto superiori ai costi, ma se poi le vendite restano crediti e non si trasformano (o lo fanno con difficoltà) in cassa, allora l’impresa può andare incontro a tensioni di liquidità pur essendo formalmente in utile!
  • La mancanza del secondo potrebbe compromettere il primo: un’impresa con tensioni finanziarie può essere costretta a ricorrere all’indebitamento bancario, con aggravio – a volte anche importante – in termini di interessi passivi, il che non fa che peggiorare ulteriormente la situazione, col rischio che si vada così a innescare un circolo vizioso piuttosto difficile da arrestare.

Nel prossimo contributo andremo a capire come analizzare in modo efficace le dinamiche finanziarie aziendali, per essere sempre in grado di affrontare in modo consapevole situazioni di mercato a volte anche particolarmente avverse, come purtroppo abbiamo avuto modo di sperimentare ormai da inizio 2020.


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Daniele Cherubini

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